Le neoplasie gastrointestinali rappresentano una tra le forme più comuni di cancro, soprattutto nei paesi occidentali. I progressi medici rappresentano un’arma importantissima per gli sviluppi futuri, volti a contrastare la malattia in tutte le sue fasi. La diagnosi precoce, un preciso quadro di imaging, le nuove terapie farmacologiche e la chirurgia sono fondamentali per affrontare le neoplasie nel modo più completo e dunque migliore per ogni paziente.
I tumori intraduttali del pancreas e le neoplasie biliari
Le neoplasie intraduttali papillari mucinose interessano prevalentemente pazienti intorno ai 60-70 anni, senza differenze significative tra i sessi. Sebbene rare e spesso asintomatiche, negli ultimi anni se ne riscontra un’espansione epidemiologica: “Il loro inquadramento diagnostico tramite imaging – spiega la dott.ssa Salumeh Goudarzi, radiologa di Humanitas Centro Catanese di Oncologia – è fondamentale come anche le valutazioni del radiologo e del chirurgo, per definire il giusto approccio di follow-up ed eventualmente quello terapeutico-chirurgico. E’ necessario, quindi, un approccio sinergico da parte di un team costituito da radiologi, endoscopisti e chirurghi”. L’identificazione di un carcinoma intraduttale e il suo adeguato trattamento possono, infatti, evitare lo sviluppo nel paziente di una neoplasia infiltrante metastatica con tutte le conseguenze che ne derivano. Anche le neoplasie biliari sono rare e di difficile gestione. La diagnosi precoce, un preciso quadro di imaging e la chirurgia sono di grande importanza, in quanto i trattamenti farmacologici si basano ancora oggi su chemioterapie convenzionali con limitata responsività ai trattamenti. Tra gli strumenti di prevenzione, oltre ad un corretto stile di vita privo di fumo e comprensivo di regolare attività fisica, assume un ruolo significativo l’alimentazione: deve basarsi su pochi grassi, ridotte dosi di carne e, viceversa, molte fibre, vegetali e frutta.
Il carcinoma pancreatico
È noto da sempre per la sua prognosi spesso infausta e per la sua complessità nell’approccio chirurgico; da qui, la necessità di affidarsi ad un team di operatori di grande esperienza in grado di intervenire in modo efficace limitando le complicanze post-operatorie, altrimenti molto diffuse. La chirurgia, qualora radicale, rappresenta il trattamento associato alla migliore sopravvivenza in quanto i trattamenti antiblastici e la radioterapia svolgono un controllo parziale della malattia con conseguenti margini di successo limitati. L’avvento di nuove combinazioni tra vecchi farmaci e quelli di ultima immissione nel mercato hanno comportato decisivi vantaggi nel trattamento della malattia metastatica o localmente avanzata e non resecabile.
Metastasi epatiche da carcinoma del colon
Per quanto riguarda invece le metastasi epatiche da carcinoma del colon, significativi sono gli sforzi terapeutici di ultima generazione, volti a permettere una chirurgia epatica radicale che potrà offrire considerevoli margini di guarigione. Le terapie cosiddette ‘intelligenti,’ che utilizzano cioè farmaci biologici, stanno ricoprendo un ruolo sempre più importante permettendo di consegnare al chirurgo pazienti inizialmente non operabili: “L’obiettivo principale – spiega il dott. Maurizio Chiarenza, oncologo di Humanitas Centro Catanese di Oncologia – è riuscire a colpire la neoplasia in modo più specifico senza aumentare in modo significativo gli effetti collaterali legati ai trattamenti chemioterapici di base. Lo scopo fondamentale è, quindi, ottenere risposte sempre maggiori migliorando la qualità di vita dei pazienti”.
Il percorso più efficace è dato dall’integrazione tra il trattamento chemioterapico e i farmaci biologici: “Negli ultimi anni – espone il dott. Chiarenza – sono stati pubblicati i risultati di alcuni studi multicentrici su nuovi farmaci che sembrano dare vantaggi maggiori in termini di risposta e sopravvivenza, con un’incidenza sull’aumento della quota di operabilità dei pazienti metastatici”.
“E’ oggi possibile – spiega il dott. Sebastiano Mongiovì, chirurgo oncologo di Humanitas Centro Catanese di Oncologia – intervenire chirurgicamente con resezioni sempre più limitate, mantenendo ovviamente tutti i criteri resettivi necessari, così da poter operare in caso di ricaduta, una seconda volta, ipotesi che si verifica nel 30% dei casi circa”. La chirurgia cosiddetta “segmentaria” risulta, pertanto, di grande aiuto perché permette di risparmiare maggiori porzioni di organo: “Se le lesioni – spiega il dott. Mongiovì – riguardano solo un segmento, possiamo intervenire solo sulla parte interessata, escludendo così asportazioni maggiori che potrebbero avere effetti indesiderati sul paziente. La particolarità tecnica risiede nel clampaggio selettivo, attraverso cui si interrompe l’afflusso sanguigno limitatamente al segmento interessato dalla resezione, mentre il resto dell’organo rimane perfuso per tutta la durata dell’intervento”.