L’immunoterapia rappresenta un approccio terapeutico relativamente nuovo in oncologia, ed è considerata la “nuova arma” per la cura del cancro dopo chirurgia, chemioterapia e radioterapia.
L’immunoterapia attiva e rinforza il sistema immunitario del paziente spingendolo ad attaccare le cellule malate.
Come agisce l’immunoterapia?
L’idea di base è quella di combattere il cancro come se fosse un’infezione, facendo reagire il sistema immunitario.
Il sistema immunitario è la barriera che protegge il nostro organismo dalle infezioni e dalle conseguenti malattie. Quando il sistema immunitario riconosce un virus o un batterio lo attacca impedendogli di danneggiare l’organismo e, nel caso della patologia neoplastica, le cellule tumorali, non essendo riconosciute come estranee, si riproducono e non attivano la risposta immunitaria.
“L’immunoterapia sfrutta le citochine, proteine responsabili della comunicazione tra le cellule che compongono il sistema immunitario – spiega la dott.ssa Giuseppina Fallica, Responsabile del Servizio Day Hospital Oncologico dell’Unità Operativa di Oncologia Medica di Humanitas – per attivare la reazione di difesa dell’organismo contro le cellule tumorali. Essa tiene sotto controllo la crescita delle cellule maligne nel tempo garantendo in questo modo una risposta immunitaria a lungo termine con un chiaro impatto sulla sopravvivenza dei pazienti; purtroppo però, non sempre è possibile prevedere quali pazienti risponderanno in modo positivo alla terapia. Nella pratica clinica, tale terapia viene utilizzata per la cura del melanoma, del tumore renale e della leucemia”.
Con l’immunoterapia è, quindi, possibile bloccare uno dei meccanismi di disattivazione e mantenere sempre accesa la risposta difensiva permettendo un controllo della patologia neoplastica.
Occorre tener presente che un farmaco immunoterapico non genera risultati visibili nell’immediato, poiché non colpisce direttamente le cellule tumorali, ma è in grado di attivare il sistema immunitario per ottenere la risposta desiderata; possono quindi trascorrere anche 16-20 settimane perché si possa evidenziare radiologicamente una risposta contro il tumore. Una volta che ciò è avvenuto, si instaura una memoria immunologica che è la capacità del nostro organismo di memorizzare gli antigeni che hanno provocato la risposta immunitaria e reagire nel caso si ripresentino prevenendo la comparsa di recidive”.
Ad oggi, esistono due tipologie di immunoterapia oncologica una passiva e l’altra attiva. “Nell’immunoterapia passiva – prosegue la dott.ssa Fallica – esistono tre possibili modalità di azione: nella prima, vengono somministrati farmaci sotto forma di anticorpo monoclonale diretti contro la cellula tumorale; nella seconda, viene praticata un’infusione di Linfociti T “natural killer” che vengono modificati affinché possano colpire solo le cellule malate; nella terza, vengono infusi virus oncolitici che possono uccidere le cellule malate. Nella pratica clinica, la terapia anticorpale è molto diffusa per i suoi benefici su diversi tipi di tumori e allo scopo vengono creati in laboratorio alcuni anticorpi specifici per l’antigene tumorale dell’istotipo tumorale; tale terapia è largamente impiegata per la cura di leucemie, cancro del colon-retto e melanomi avanzati. Nell’immunoterapia attiva, invece, vengono somministrati al paziente vaccini o farmaci inibitori con l’obiettivo non di supportare il sistema immunitario ma di attivarne proprio la risposta”.
Per quali tipi di tumore è efficace l’immunoterapia?
Tra le patologie tumorali che hanno tratto un notevole beneficio dall’immunoterapia si riscontrano il tumore polmonare che con l’utilizzo di Pembrolizumab, come si evince dagli studi registrativi, ha avuto un incremento delle risposte obiettive al trattamento; il carcinoma renale che con l’utilizzo di Nivolumab ha mostrato un rallentamento del tempo di ricomparsa della malattia e il tumore del testa-collo ha ottenuto una riduzione del 30% del rischio di morte. Buone notizie anche per il carcinoma mammario Triplo negativo, una variante considerata molto aggressiva, dove l’associazione di Atezolizumab con Nab-Paclitaxel ha mostrato un vantaggio di sopravvivenza di 10 mesi in più rispetto alla sola chemioterapia con un notevole impatto sulla Progressione Libera da Malattia.
L’immunoterapia, quindi, si è dimostrata un trattamento clinicamente valido in grado di essere efficace per numerose patologie neoplastiche in quanto il sistema immunitario riguarda qualsiasi patologia considerata estranea al nostro organismo.
La ricerca è in continua evoluzione, la speranza è di ottenere risultati e possibilità di cure sempre più sorprendenti anche per patologie tumorali ad oggi poco trattabili.