Raccontare la propria esperienza e il proprio cammino attraverso la fototerapia. E’ stato questo lo scopo di “Io non muoio”, un percorso che ha utilizzato lo strumento fotografico con finalità terapeutiche, raccontando attraverso le immagini la lotta delle pazienti contro il tumore al seno.
Il progetto è stato promosso e condotto dalla dott. ssa Antonella Cunsolo, psicologa-psicoterapeuta, fotografa e Presidente dell’associazione ‘Art’è Benessere’ di Catania. Ad affiancarla, la dott.ssa Maria Muratore, infermiera del nostro Ospedale, insieme a Antonello Musumeci, socio dell’associazione. Gli approcci teorici di riferimento alla base delle metodologie utilizzate sono state le tecniche di fototerapia di Judy Weiser e l’approccio sistemico-relazionale. Diverse sono state le fasi del progetto che hanno visto la partecipazione attiva di numerose pazienti. Il laboratorio, appoggiato con entusiasmo dal Direttore Sanitario di HCCO, dott. ssa Annunziata Sciacca, è stato suddiviso in tre fasi principali: durante la prima, si è svolta la narrazione delle storie personali e la condivisione dei vissuti relativi all’evento traumatico attraverso l’uso di fotografie proposte dalla dott.ssa Cunsolo ed anche dalle pazienti.
Successivamente si sono svolte diverse sessioni fotografiche che hanno visto le pazienti, protagoniste del set, immortalate assecondando il messaggio emozionale che desideravano esprimere, attraverso la loro immagine. La terza fase, infine, è stata dedicata alla selezione dei ritratti, con particolare attenzione ai vissuti personali, alle testimonianze e all’idea che ogni partecipante ha sviluppato intorno all’importanza dell’essere parte di questo progetto. Quanto conta condividere emozioni e solleticare attraverso il racconto della propria esperienza chi ci ascolta?
“Partendo dalle immagini e attraverso di esse – prosegue la dott.ssa Cunsolo – le pazienti hanno avuto, da subito, la possibilità di raccontarsi e mettere a disposizione le proprie emozioni con chi stava vivendo la stessa condizione, qualcosa che, a detta loro, non ha prezzo. L’espressione del frame personale messo in mostra con le fotografie scelte dalle pazienti ha favorito il processo di elaborazione dell’evento traumatico stesso. Un valore aggiunto, l’aver avuto a disposizione uno spazio mentale e fisico, mediato dallo strumento fotografico, che ha permesso loro di concedersi anche un momento di cedimento ed esprimere paure, preoccupazioni senza riserve. Tutto ciò ha, inoltre, favorito la creazione di forti legami e relazioni di mutuo-aiuto tra le pazienti, un’importante risorsa che rappresenta, a distanza di tempo, un valore aggiunto per ciascuna di loro durante lo svolgimento del percorso clinico. L’utilizzo del mezzo fotografico e delle tecniche di fototerapia, così come ci insegna Judy Weiser, (psicologa, arte-terapeuta) ha permesso di raggiungere in tempi molto brevi dei risultati sorprendenti”. Il gruppo di lavoro ha dimostrato grande entusiasmo e partecipazione, spirito collaborativo e coinvolgimento nonostante la malattia le abbia messe a dura prova.
Le immagini realizzate hanno dato risalto alla bellezza ed alla fierezza delle donne, i cui segni riconducibili agli interventi chirurgici, seppur visibili sulla pelle, sono l’espressione della forza d’animo e della voglia di gridare “io non muoio”.
Si è rivelato comune, infatti, il desiderio di poter trasmettere ad altri un messaggio positivo e di fiducia: “All’inizio eravamo delle perfette sconosciute riunite attorno ad un tavolo – racconta Daniela, una delle pazienti che ha preso parte al progetto – e solo più avanti ho capito di cosa si trattasse realmente. Non erano semplici foto quelle che avremmo dovuto fare, quanto immagini rappresentative del nostro essere, che dicono qualcosa di noi e scavano le parti più intime del nostro cuore, tirando fuori l’esperienza vissuta, il dolore, la voglia di combattere e, infine, la nostra vittoria. Ciascuna di noi, ha trovato ben presto le condizioni per raccontarsi e così, da perfette sconosciute, siamo diventate un gruppo unito e compatto. Ci siamo prese cura di noi, lenendo alcune ferite che la malattia aveva lasciato aperte”. A conclusione del progetto, la pubblicazione di un libro fotografico il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza ed una mostra con le immagini più significative.